RITO SIMBOLICO ITALIANO 

STUDI DI SIMBOLOGIA


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PITAGORA, STORIA, PENSIERO INIZIATICO E MASSONERIA

Parte II

La morte del Maestro





La Scuola Italica pitagorica aveva determinato e costituito un’élite all’interno della città di Crotone, riformando i costumi e sviluppando le coscienze.
Ben presto, tuttavia, essa dovette fare i conti con altre città, la prima fra tutte fu quella di Sibari (1), dove un tiranno di nome Telide si era improvvisamente impadronito della città. Uno dei primi atti del suo magistero fu quello di arrestare i membri del passato governo molti dei quali erano pitagorici. Parte di questi furono assassinati, altri si rifugiarono a Crotone, dove la comunità dell’Ordine riservò loro una generosa ospitalità.
Considerando la presenza degli esuli in una città cosi vicina una minaccia, Telide inviò allora una delegazione a Crotone, minacciando la guerra nel caso in cui non fossero stati consegnati i rifugiati per essere messi a morte. Il popolo di Crotone riunitosi in gran fretta nell’Agorà discusse il problema e quando la fazione orientata alla consegna di quelli che, dopotutto, erano considerati degli estranei stava prendendo il sopravvento, intervenne personalmente il Maestro e risolse il terribile conflitto di coscienze: “Voi non potete, disse, strappare dai vostri altari i supplici che hanno invocato la sacertà. Il diritto d’asilo è inviolabile. Nulla vi deve distogliere dal vostro bene” (2).
Quindi il Senato si rifiutò di consegnare i suoi ospiti, anche in virtù del fatto che tra i suoi membri più influenti vi erano molti adepti all’Ordine.
Sibari dichiarò guerra nello stesso giorno. Crotone dette l’incarico di comandante in capo delle truppe al celebre atleta Milone, anch’egli membro devoto dell’Ordine (3). Benché l’esercitò di mercenari di Sibari fosse tre volte superiore a quello di Crotone, gli invasori furono respinti e Milone li insegui fin nel loro territorio conquistando Sibari.
Era il 510 a. C.; la città venne completamente rasa al suolo: Eliano (4) narra che non restò pietra su pietra, scomparendo così dalla mappa della Magna Grecia. Dovranno passare almeno 70 anni perché sotto la guida degli Ateniesi, vi fu fondata, nel 444-443 a. C., una colonia panellenica che prese poi il nome di Turi.
A questo punto della storia intervengono due fatti che, sia pure indirettamente, determinarono la fine della Scuola Italica.
Con la vittoria su Sibari si apri una diatriba sulla divisione delle terre conquistate: il popolo voleva che esse fossero divise fra gli abitanti, mentre il Senato era contrario. La seconda causa fu rappresentata da quella agitazione degli animi che si stava allora diffondendo in tutte le colonie greche. Una serie di sommosse provocarono la caduta di gran parte dei Consigli oligarchici o aristocratici; il popolo prese il potere in molte città e il suo primo provvedimento fu quello di abolire le costituzioni ritenute reazionarie, vennero soppresse le magistrature ereditarie introducendo il metodo del sorteggio, i rappresentanti dei governi furono costretti a sottoporre al popolo un resoconto della loro gestione, divennero servitori del popolo invece di esserne le guide. Crotone non sfuggì al contagio delle nuove idee e dopo tumultuose elezioni un Consiglio democratico prese il potere. Tutte le istituzioni tradizionali della città vennero spazzate via e l’Ordine perse immediatamente quella considerevole influenza che aveva tanto esercitato per più di trent’anni sulla città. Fu a questo punto che Pitagora cessò di tenere i corsi agli Exoterici e si chiuse in un profondo ritiro. Si ritirò nel Tempio dell’Ordine e solo i dirigenti poterono avvicinarlo.
Gli storici e gli studiosi non sono concordi sulla scelta del Maestro. La più probabile è quella secondo cui si rendeva conto dell’errore commesso dai Politikoi dell’Ordine, che avevano assunto una parte troppo attiva nelle competizione elettorali e che avevano troppo apertamente gestito gli affari pubblici.
Ma torniamo a Crotone. Gli aristocratici, e con essi molti membri dell’Ordine, costituivano una vigile opposizione agli attuali governanti della città, ostacolando l’esecuzione delle nuove riforme. I demagoghi, allora, scatenarono una forte campagna con la quale attaccarono duramente l’Ordine e il suo Maestro. Giamblico (5) parla di un certo Cilone, che il Maestro aveva rifiutato nell’Ordine, perché crudele ed ambizioso, il quale si mise a capo di una congiura con l’appoggio di Ninone, autore di un falso estratto dei Versi Aurei di Pitagora, inventati di sana pianta. Cilone riuscì a presentare Pitagora come uno straniero pericoloso, un temibile cospiratore, organizzatore in segreto di un complotto contro il popolo di Crotone. A queste accuse, alcuni cittadini corsero alle armi e si recarono all’assalto della casa di Milone, ove i membri della comunità si erano pacificamente riuniti per celebrare ritualmente, in agape fraterna, una festa d’obbligo. Assaliti dalla folla, i Pitagorici serrarono le porte e non riuscendo a sfondarle, gli assalitori dettero fuoco all’edificio. Iniziò allora un massacro: alcuni adepti perirono nelle fiamme, altri tentarono la fuga e furono abbattuti dal popolino scatenato. La maggior parte degli studiosi è concorde sul fatto che solo Liside, il discepolo preferito del Maestro, ed Archippo, entrambi di Taranto, riuscirono ad evitare la morte; Liside si rifugiò a Tebe ove iniziò Epaminonda (6), mentre Archippo si mise in salvo in patria.
I membri dell’Ordine furono oggetto di una caccia spietata; alcuni si erano rifugiati in una locanda dove furono scoperti e sgozzati, altri furono inseguiti in piena campagna e, raggiunti, vennero uccisi senza distinzione d’età e di sesso. Fra le vittime figurava anche il giovane Democede, una delle speranze dell’Ordine.
Pitagora scomparve misteriosamente. La sua fine rimarrà sempre un enigma. Il suo corpo non venne mai rinvenuto e mai si scoprì il luogo della sua sepoltura.
Anche in questo caso i suoi biografi sono discordi. Tre sono le tesi principali sostenute dagli storici. La versione di Ippolito e di Neante (7) vuole che il Maestro condividesse la sorte crudele dei suoi discepoli e perisse con loro nell’incendio e nel massacro di Crotone. Ermippo sostiene invece che riuscì a fuggire insieme a Liside ed Archippo ma che venne raggiunto lungo la strada e sgozzato in un campo di fave. Secondo Dicearco (8), il Maestro errò di città in città, scacciato da tutti e, che giunto infine a Metaponto, sarebbe morto di fame e di fatica nel Tempio delle Muse.
E’ certo che Pitagora risiedette per qualche tempo a Metaponto, perché è in questa città che ricevette nell’Ordine il suo ultimo discepolo diretto, Empedocle d’Agrigento (9), che si vantò sempre di essere stato iniziato da lui.
Fu sempre a Metaponto che, dopo la morte, la sua dimora venne trasformata in Tempio dei “Misteri di Cerere” ed è là che Cicerone farà un pellegrinaggio ed andrà a vedere “il luogo ove aveva perduto la vita ed il seggio dove era solito sedersi”.
Tale fu l’ignota fine de quest’essere straordinario, una fine enigmatica quanto la sua vita.


Le iniziazioni del Maestro
 
Quando Pitagora costituì il suo Ordine nella Magna Grecia, aveva ricevuto, nei vari paesi in cui aveva dimorato la pienezza di una formazione iniziatica. Alla sua epoca, infatti, esistevano già presso tutti i popoli mediterranei un gran numero di “Misteri”, le Telete. Esse consistevano nella rivelazione confidenziale di certi segreti cosmici, trasmessi da sacerdoti specializzati ad un ristretto numero di discepoli, degni di riceverli ed in grado di farne buon uso.
In ogni regione, degli istruttori consacrati al culto delle divinità locali insegnavano i propri Misteri in Santuari riservati a tale scopo. Vediamo così numerosi viaggiatori che, amanti della Verità, peregrinano di città in città per chiedere di essere ammessi a tutti i tipi di Misteri che potevano essere loro rivelati, accumulando così gelosamente il maggior numero possibile di iniziazioni.
Plutarco, Pausania ed Apuleio fanno capire di essere stati successivamente ammessi ai Misteri greci di Demetra e di Dioniso, nonché ai Misteri egizi di Osiride e di Iside. Ma non vi furono soltanto i filosofi, naturalmente inclini all’investigazione metafisica, ad essere i più ghiotti di queste ripetute investiture, perché anche i grandi capi politici dell’antichità manifesteranno lo stesso interesse. Quando il mondo romano avrà subito profondamente l’influenza ellenica, vedremo i suoi più illustri imperatori imitare Pitagora e recarsi all’estero per ottenere nuove qualifiche.
Allo stesso modo in cui fecero Silla e Cicerone, vedremo Augusto, Domiziano Adriano, Antonino Pio, Lucio Vero, Marco Aurelio, Commodo, Settimio Severo e Giuliano ricercare in Grecia l’iniziazione ai Misteri.
Poniamo da parte i Misteri di origine ellenica per interessarci di quelli egizi che esercitarono indubbiamente su Pitagora la maggiore influenza iniziatica.
“Egli trascorse ventidue anni nei templi d’Egitto, dice Giamblico, studiando astronomia e geometria. Egli si fece ammettere, non superficialmente né a caso, a tutte le iniziazioni degli Dei.
NON SUPERFICIALMENTE, dice l’autore, e ciò significa che lungi dal richiedere affrettatamente un’investitura occasionale, o di assistere ai riti e alle liturgie usuali, come facevano tanti viaggiatori avidi quanto frettolosi, Pitagora ebbe la pazienza di attendere per ricevere un insegnamento completo ed iniziazioni approfondite.
Ne’A CASO: non fu dunque un’ammissione puramente formale che egli andò a sollecitare, ma volle ricevere ed ottenne effettivamente una formazione identica a quella dei membri della casta sacerdotale, venendo così considerato come un loro pari in scienza e in taumaturgia.
Ma in che cosa consisteva le iniziazioni egizie?
Alcuni studiosi, come Roeder, Hall, Newton, Hohlemberg, ecc., ci dicono che i sacerdoti egizi davano delle iniziazioni estremamente impressionanti ad un’èlite di neofiti, iniziazioni che si svolgevano in parte nella Grande Piramide e nella Sfinge di Gizah. L’abate Terrason è stato il primo a sostenere questa tesi.
Le cerimonie avrebbero comportato delle prove fisiche spossanti e terribili. Il candidato doveva essere purificato dai quattro elementi: a tal fine doveva strisciare in gallerie sotterranee (elemento terra); attraversare della legna infiammata (elemento fuoco) passare a nuoto e senza spegnere la fiaccola un profondo bacino (elemento acqua); infine, non lasciare la presa nel momento in cui si sentiva sospeso nel vuoto (elemento aria).
La disposizione interna della Piramide, che conta numerosi corridoi, sale e cavità diverse, non rende a priori inverosimile questa tesi. Apuleio, parlando dell’iniziazione di Lucio ai Misteri egizi afferma:
“Sono giunto ai confini della morte. Dopo aver calpestato il suolo di Proserpina, sono tornato attraversando tutti gli elementi”.
Altri, invece, contestano energicamente questa tesi e si ostinano a vedere nella Grande Piramide solo una tomba di notevoli dimensioni.
Il luogo ha una importanza relativa; quella che non può essere contestata è l’esistenza di iniziazioni in Egitto: ricordiamo che tutti i grandi uomini della Grecia intrapresero il viaggio in Egitto espressamente per cercarvi l’iniziazione e che tutti gli autori ne affermano l’esistenza.
La religione egizia comportava due livelli di rivelazione. Al popolo veniva data unicamente un’approssimazione elementare di certe Verità cosmiche, sotto i veli del rito religioso. Gli si permetteva di frequentare i santuari e di partecipare alle processioni e alle feste religiose che Erodoto ci ha descritte. Lo si incoraggiava ad una fervente pietà, ad una devozione eccezionale, ad una permanente emotività mistica.
Ma la vera scienza segreta era riservata alla casta sacerdotale, e rari stranieri ne furono talvolta i beneficiari.
Pitagora ricevette questa duplice comunicazione della verità.
I Misteri egizi comportavano essenzialmente un elemento mitico, il cui tema principale era costituito dalla morte e dalla rinascita di Osiride, dei simboli e un insieme di riti. Siamo in grado di scoprire quali particolarità dei Misteri hanno più colpito Pitagora? Senza dubbio ed innanzi tutto la celebre leggenda di Osiride. Plutarco ce l’ha raccontata in modo esplicito: Osiride era stato assassinato dal crudele Tifone e il suo cadavere gettato nel Nilo; la cassa che conteneva i suoi resti fu trascinata dai flutti del mare a Byblos, ove un’erica crebbe tutto intorno ad essa. Dopo numerose ricerche, Iside riuscì a ritrovarla, ma nottetempo giunse Tifone che smembrò il corpo di Osiride in quattordici pezzi, disperdendoli da ogni parte. Iside dovette cercarli a lungo per raccoglierli, e alla fine riuscì a metterne insieme tredici: il sesso non poté essere trovato. Ra inviò allora Anubis per rimettere a posto le membra disgiunte di Osiride, ed Iside le rianimò col suo soffio. In seguito suo figlio Horus vendicò il padre e sconfisse Tifone.
Questo mito eterno, si ritrova in tutte le iniziazioni. Il neofita, infatti, veniva ad un certo punto sottoposto ad una morte simbolica e quando risorgeva levandosi dal suo giaciglio funebre era assimilato al Dio, che riviveva in lui e lo faceva partecipare al suo irraggiamento spirituale.
Nel Pitagorismo ritroviamo questo simbolismo: l’iniziato dovrà, come un chicco di grano, simbolo di Osiride, morire per poi rinascere.
Non solo, ma Pitagora fu enormemente influenzato dall’insegnamento egiziano relativo alla vita postuma dell’anima umana. Egli dichiarerà, come i suoi istruttori egiziani, che l’anima è immortale, la farà passare sulla barca sacra per recarsi al giudizio (o psicostasia), imporrà a tutti i suoi discepoli di pesarsi moralmente ogni giorno con una psicostasia volontaria; farà sperare ai giusti la beatitudine finale, il soggiorno nell’Isola dei Beati. Ripeterà così le tradizioni egiziane sulla barca di Iside la pesa delle anime ad opera del cancelliere Thot, il rifugio finale nei beati campi di Ialu. Non solo, è possibile ritrovare in certi suoi insegnamenti la dualità Osiride-Iside sotto forma del binomio Sole-Luna; il culto di Amon-Ra sotto la forma del rito di saluto al Sole levante; la barca di Iside nell’insegnamento segreto sulla sopravvivenza. Lo scarabeo sacro sarà rimpiazzato dalla farfalla e l’Ermete egizio verrà rappresentato in ogni suo Tempio.
Ma la cosa che maggiormente influenzò ed ispirò il maestro nelle sue direttive spirituali fu la minuziosa liturgia egiziana. Pitagora dovette rimanere sorpreso del valore essenziale che i suoi istruttori egiziani attribuivano ai riti religiosi dell’importanza considerevole che essi attribuivano a ciascuno dei loro gesti e della ricchezza magica che davano ad ogni parola. Il fatto è che l’Egitto, tramite la pratica rituale, possedeva il segreto di come animare i suoi dei. Quindi, il merito di questa liturgia consisteva nel dare a tutti l’impressione che gli dei fossero viventi; l’oggetto della loro venerazione non era solo una mera immagine; entrando nel tempio, una volta compiuti i riti, si aveva la sensazione di una presenza, e il fuoco sacro che ardeva costantemente davanti al Dio rafforzava ancor più questa sorprendente impressione. Riusciamo a questo punto a comprendere quale entusiasmo mistico, quali scene di gioia spirituale, quale fervore accompagnassero in Egitto l’esecuzione di tutti i rituali religiosi; quali slanci di fede e di pietà trascinavano le anime e quali felici emozioni facessero battere i cuori all’un isono.
Pitagora riuscì a ricreare fra i suoi discepoli la stessa unità spirituale, imponendo riti regolari e dando loro una padronanza assoluta sulle proprie azioni.
Se tali effetti erano ancora percepibili e realizzabili in epoca in cui i Grandi Misteri dell’Egitto erano già in piena decadenza, quale mai doveva essere la forza dell’iniziazione egizia nel momento in cui questo popolo straordinario si trovava all’apogeo della sua potenza e del suo irraggiamento spirituale. Il suo dinamismo religioso dovette essere incomparabile ed influenzare profondamente tutti i popoli mediterranei.
Pitagora ricevette veramente in Egitto una formazione completa: nessuna iniziazione greca avrebbe potuto insegnargli altrettanto.
 
 
Ricerca di Vittorio Gnocchini
 
NOTE
(1) La colonia achea di Sybaris, fondata nella seconda metà del sec. VIII a. C. sul golfo di Taranto, acquistò presto, grazie all’intraprendenza e all’operosità dei coloni, potenza e ricchezza tali che i suoi abitanti ebbero anche fama di molli e corrotti. Sulle sponde tirrene calabre, S. fondò le colonie di Lao e Scidro e più a nord, sul golfo di Salerno, Posidonia (Pesto). In buoni rapporti con Mileto, verso la fine del sec. VI esercitava una certa supremazia sui centri vicini.
(2) Da Diodoro Siculo, storico greco (80 ca. —20 a.C.)
(3) Milone: atleta greco (sec. VI a. C.). Tra i più famosi dell’antichità, fu vincitore nella lotta in almeno 6 giochi olimpici oltre che di altre manifestazioni sportive (6 giochi pitici, 10 istmici e 9 nemei).
(4) Claudio Eliano: sofista ed erudito romano (Preneste ca. 170-ca. 235). Insegnò a Roma; non uscì mai dall’Italia, ma parlò e scrisse in greco attico. Lasciò due raccolte di fatti curiosi e strani: intorno agli animali (Sulla natura degli animali, in 17 libri) e Varia storia, di cui abbiamo 2 libri su 14, contenente aneddoti mitologici, letterari, naturalistici, ecc.
(5) Giamblico: filosofo neoplatonico e matematico greco (Calcide ca. 250-325 o 326). Allievo di Porfirio, introdusse, dandovi la preminenza, elementi mistici e superstiziosi di origine orientale nel neoplatonismo, come si può rilevare nell’opera De Mysteris. E’ autore di una Silloge delle dottrine pitagoriche in 10 libri, di cui ne restano 5. I più interessanti sono De vita pythagorica, De communi mathematica scientia (un’introduzione filosofica alla matematica) e In Nicomachi arithmeticam introductio (commento).
(6) Epaminonda: generale e uomo politico tebano (ca. 420-362 a. C.).
(7) Neante di Cizico: storico greco (sec. III a. C.). Scrittore di mitografia, compose sei libri di Elleniche, di cui restano solo frammenti.
(8) Dicearco di Messina: filosofo peripatetico (sec. IV-III a. C.). Fu discepolo di Aristotele, contro cui sostenne la superiorità della vita pratica sulla vita teoretica. Notevole la sua opera geografica Itinerario intorno alla Terra.
(9) Empedocle: filosofo greco (Agrigento ca. 492-? ca. 432 a. C.). L’ultimo dei grandi filosofi naturalisti presocratici, ebbe fama di medico e di guaritore e la sua figura divenne leggendaria. Partecipò alla vita politica della sua città, dalla quale pare sia stato esiliato, perché appartenente al partito democratico. Condusse una vita randagia in Sicilia, Magna Grecia e, probabilmente, nel Peloponneso. La sua morte è misteriosa: si racconta che si sia gettato nell’Etna per farsi credere un dio.


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