RITO SIMBOLICO ITALIANO 

ARCHIVIO


Roberto Ascarelli
SCRITTI E DISCORSI

Gran Loggia di Rito Simbolico Italiano
Roma 1971

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LE COLONNE

Non è solo per ottemperare al fraterno invito del nostro Venerabile, che io prendo la parola per chiarire la mia opinione su alcuni dei nostri simboli, ma è proprio ed in effetti perché ritengo sia opera massonica, nel senso da me desiderato ed auspicato, e cioè di attività attuale, rispondente ad una necessità sociale del momento politico, il dover parlare dei simboli massonici.

Perché mi pare trascorso e superato il tempo in cui la mente umana faceva ricorso al puro razionalismo.

Molto spesso, nella lotta antidogmatica, che ci è imposta dalle condizioni del nostro paese, e dalla necessità intima della costruzione del tempio ideale, noi ci siamo, per così dire, decorati del titolo di «razionalisti », in quanto desiderosi di far prevalere la ragione pura, e cioè la discussione e l'analisi, alla devota accettazione del credo di una qualsiasi fede.

Ma nella parola razionalista, che per arte polemica potremmo pure accettare e di cui meniamo vanto, è insita una grave limitazione.

E' razionalista, logicamente, quegli che rifiuta prendere in esame tutto quanto sorpassa i limiti della sua comprensione. Il che significa che la sua concezione del mondo e la sua conoscenza sono per questo solo motivo costrette alla misura della sua intelligenza e del suo sapere.

Ma questi limiti non erano molto estesi nel mondo di Dante, nel mondo di Leonardo da Vinci, se vogliamo, anche nel mondo di Pico della Mirandola o di Cardano, che ci dicono essere gli ultimi uomini in possesso di tutta la scienza del loro tempo: ma sappiamo bene, che per grandi geni che fossero codesti uomini, ciò poteva avvenire perché in quei tempi i limiti della scienza e della conoscenza erano molto ristretti.

Oggi la maggior parte di noi è ben lungi dall'essere Dante, Leonardo, Pico o Cardano, ed invece gli specialisti hanno portato i confini del mondo sconosciuto e studiato molto al di là sia nel campo tecnico, che nel campo dell'introspezione psicologica.

Perciò noi razionalisti correnti dalla media cultura, non possiamo di nuovo che prestar fede, in ogni campo, agli specialisti che ci siano vicini per tendenze politiche e che sappiamo essere più saggi di noi in quelle materie.

E se fede non possiamo prestare per la «contraddizion che nol consente », non possiamo che limitarci alle leggi fisiche e psicologiche da noi conosciute, e respingere tutto quanto sorpassi queste leggi.

Il puro razionalista dunque che ritiene di essere scientifico non è che scientista, ammette che la scienza faccia conoscere le cose quali esse sono.

Ma la scienza, noi lo sappiamo, per ammettere un fenomeno, ha bisogno che questo si ripeta nelle condizioni richieste e che rientri nel quadro delle leggi generali.

Tuttavia, ben sappiamo che esistono numerosi fenomeni che non rientrano in queste condizioni, e la cui esistenza è di realtà obiettiva e non subiettiva.

Se dunque il razionalista insiste nella sua concezione, ne fa un dogma; se vogliamo dato, il nostro specifico caso, fa un dogma dell'anti-dogma; ed agisce e pensa con altrettanto fanatismo, quanto il seguace di qualsiasi religione, per il quale non esiste salvezza se non nelle premesse teologiche che gli son proprie.

Debbo subito aggiungere che l'espressione di questi concetti che mi son propri, non sono dovuti alla mia penna, ma a quella ben più abile del fratello Boucher.

E li ho trovati così chiaramente e sinteticamente esposti nel suo trattato sul simbolismo massonico, edito nel 1948 da Dervy a Parigi, che non ho saputo resistere alla tentazione e alla comoda pigrizia di parafrasarli.

Dunque il razionalismo non è mezzo sufficiente per scoprire le leggi della natura, e tanto meno è sufficiente per la costruzione del tempio ideale della massoneria, che sappiamo essere l'io, e cioè l'Uomo, in se stesso e nei suoi rapporti con la società, ed infine la società nella sua forma ideale.

Non vogliamo né possiamo a tale scopo rivolgerci ad una qualsiasi religione in quanto tutte riconosciamo quali vie di salvazione, qualora onestamente sentite e professate: ma vie di salvazione unilaterali, perché ciascuna di esse monopolizza la salvazione a beneficio dei propri fedeli, e noi pensiamo che se anche volessimo per avventura dare, non dico forma antropomorfa, ma volontà cosciente al grande architetto dell'Universo, lo riterremmo superiore alle piccole gelosie di un meschino individuo, che se non si sente adorato e riverito dai suoi congeneri, li prende in odio e li punisce.

Dunque esistono delle leggi superiori o meglio esiste un mondo che sfugge al nostro esame razionale necessariamente limitato, ma che pure non può essere lasciato da parte se vogliamo veramente poggiare su basi solide il nostro io.

E la chiave di questo mondo non può essere che l'iniziazione.

E' la sola che ci può aprire le porte.

A tal fine il mondo ha sempre conosciuto i misteri quali aristocrazie di tutte le religioni, e l'iniziazione rende partecipe l'iniziato della egregora del gruppo e lo fa partecipare anche malgrado la sua volontà alla vita mistica e profonda dell'essenza dei simboli.

Cioè, poiché è ormai riconosciuto anche sperimentalmente che da ciascuno di noi promana un'entità psichica che non sappiamo se sia, ed in qual misura, in rapporto con la nostra entità fisica, l'iniziazione porta l'iniziando nella somma delle entità dell'assemblea (egregora), ossia, nel nostro caso, nell'egregora della Loggia, e lo rende partecipe dell'essenza dei simboli massonici.

I quali hanno le loro radici nel tempo: e se la storia è maestra della vita, è evidente che la conoscenza dei simboli è in certo qual modo il mezzo più sintetico per intendere gli ammaestramenti del passato, usarne nel presente per renderli fruttuosi nel futuro.

E' bene chiarire che l'iniziazione massonica non vuole avere nessun carattere di monopolio, ma vuole rendere tangibile l'unità di conoscenza attraverso tutte le sette e tutti i riti, perché la vera iniziazione è una nel tempo e nello spazio, e in tutti i riti, benché i costumi sociali o etnici di coloro che la praticano siano momentaneamente diversi.

Per concludere questa premessa, mi pare dunque necessario se vogliamo della nostra fratellanza fare non solo un'associazione di cultura o un'assemblea di vuote discussioni, ma ce ne vogliamo servire per usarla alla buona opera, dobbiamo conoscerne la potenza intima e saperne usare: e perciò ed in questo senso un breve studio dei simboli è, non soltanto utile, ma strettamente indispensabile.

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Il nostro tempio è limitato dalle colonne.

La Bibbia ci dice che erano davanti al Tempio.

Hiram di Tiro le costruì quale sapientissimo artefice del rame.

Esse furono fatte in rame e furono munite di capitello ciascuna di rame fuso, che furono messi sopra le colonne.

La Bibbia descrive anche la decorazione e la misura dei capitelli. «Innalzò le colonne (I libro dei Re, cap. 7) davanti al portico del Tempio, innalzò la colonna di destra e la chiamò Jachin, inalzò poi la colonna di sinistra e la chiamò Booz ».

E' ben chiaro che il tempio di Salomone da cui derivano il nome dell'ambiente dei nostri lavori, e quindi anche le colonne che noi abbiamo innalzato non fuori del peristilio del recinto, ma all'ingresso del recinto stesso, non vengono considerate da noi, né nella loro realtà storica, né secondo la religione e la tradizione giudaiche, ma solo nel loro significato esoterico, e cioè di simbolo.

Il simbolo che noi abbiamo costruito è quindi oggetto della nostra descrizione. A noi dunque più che la materia e la collocazione storica delle colonne interessa il loro significato.

Jachin, la colonna di destra, significa in ebraico «Egli stabilisce ». Booz, la colonna di sinistra, significa «nella forza ». Le due colonne insieme significano dunque: Egli, cioè l'innominabile Iddio, stabilisce nella forza, cioè rende stabile nella sua forza il Tempio.

Stabilisce il Tempio: cioè il mondo ideale.

Il mondo, per il suo futuro, e cioè nella sua eternità, ha bisogno di procreare. Il «iod» ebraico, che corrisponde grosso modo all'J di Jachin, è il simbolo del sesso maschile; il «Bed », che corrisponde grosso modo al B di Booz, corrisponde al simbolo femminile, perché Bed significa casa, da cui l'idea di ricettacolo, caverna, utero.

Se vogliamo ancora una curiosa conferma magica di questa

interpretazione e teniamo presenti unicamente le consonanti, ben sapendo che in ebraico non si scrivono le vocali, e scriviamo Jachin con un «caph» (c duro) e un «nun» (n), e leggiamo a viceversa, troviamo che il nun ed il caph sono il segno scritto del coito e della copula, mentre scrivendo il Bed (b) e il Zain (z) e li leggiamo a viceversa, abbiamo il segno scritto dell'organo fecondatore, il fallo (il leggere al contrario è comune dell'interpretazione magica cabalistica) .

Ecco dunque rivelato nel simbolo delle colonne il segreto della continuità del mondo, il meraviglioso mistero che tutte le menti occupa e che nessuna mente fino ad oggi ha saputo risolvere, il mistero della generazione e della fecondità, su cui poggia il nostro universo e che dobbiamo tener presente anche nella costruzione del Tempio idale che si protende con la nostra opera, nel futuro eterno.

E' inutile qui riportare che alcuni riti pongono Booz a sinistra e Jachin a destra.

Ciò è dovuto probabilmente al fatto già accennato che originariamente le colonne dovevano essere erette all'esterno del Tempio e che probabilmente l'inversione è avvenuta con l'erezione delle colonne all'interno.

Sono questioni che lasceremo ai simbolisti.

A noi basta di aver stabilito che le due colonne segnano i limiti del mondo creato, i confini del mondo profano di cui la vita e la morte sono l'estrema antitesi di un simbolismo che tende verso l'equilibrio che non sarà mai realizzato.

Le forze opposte delle due colonne non possono essere concepite l'una senza l'altra.

Il tempio ideale è sostenuto e limitato da colonne il cui significato è nel mondo degli archetipi dove tutto si confonde nella luce splendente dell'incomprensibile.

Jachin è sormontata da un melograno semiaperto: il melograno significa carità, umiltà, unione di tutti i figli della chiesa, secondo la simbologia cristiana e cattolica. Secondo Angelo De Gubernatis, nella simbologia popolare, il gran numero di grani che essa contiene lo ha fatto adottare come il rappresentante della fecondità, della generazione e della ricchezza.

Nella forma del melograno aperto si ritiene riconoscere la forma della vulva.

Non ho bisogno qui di fare riferimento ai misteri falli ci e ai segni fescennini delle religioni pagane e dell'odierno Giappone per togliere ogni significato banale ed osceno a questa interpretazione.

Nella simbologia massonica d'altra parte, i chicchi del melograno contenuti nella loro polpa gelatinosa simbolizzano i fratelli massoni uniti fra di loro nell'ideale comune.

E ancora poiché la radice del melograno è tossica, il melograno ci dice che i massoni nati da un mondo malvagio nella sua essenza, si elevano a uno stato di eccelsa bontà.

La significazione dell'Universo che sormonta nella sua più semplice espressione di una sfera l'altra colonna, non ha bisogno di ulteriori chiarimenti, ma una parola va spesa per i gigli che dovrebbero ornare nella loro più semplice espressione araldica i capitelli delle colonne come stà a dimostrare il quadro di apprendista che vorremmo appeso alle pareti del tempio, allorché si tengono le sedute di l° grado.

Il giglio di cui parla la Bibbia come decorazione delle colonne, non è certo il giglio ordinario, simbolo di verginità nella Chiesa, per il suo candore.

Quello che è stato tradotto come giglio delle valli o giglio dei campi nella Bibbia sembra essere solamente l'anemone.

Infatti quando il Cantico dei Cantici compara la bocca dell'amata al giglio, non intende davvero lodarne il candore, bensì il rosso sensuale.

D'altronde l'antichità pagana attribuiva il giglio occidentale a simbolo di Venere e dei Satiri, accentrando l'interesse sul robusto pistillo fallico, piuttosto che al colore: ed osserva Huyamans che d'altronde il profumo del giglio è il contrario di un profumo casto, è misto di miele di pepe, qualche cosa di insieme aspro e dolciastro, di pallido e di forte insieme, come un'essenza afrodisiaca del Levante o una confettura erotica dell'India.

Ma certo non si trattava del giglio occidentale: si trattava dell'anemone rosso carnale della Palestina che, riportata simbolicamente sulle colonne, ne accentuava in un campo il simbolo di generazione e d'altro canto le incoronava di accesi fuochi come di fiaccole sulle soglie del tempio.

Del resto si tratta di una stilizzazione araldica: il fior di giglio in araldica ha infinite interpretazioni: come di ascia, di tridente, di ferro di lancia stilizzato.

Per altri il fior di giglio araldico rappresenta schematizzato il fiore di ginestra e sembra che per gli uomini del mezzogiorno abbia sempre servito a simbolizzare il Nord, la dignità reale e il segno maschile.

Il già citato Angelo De Gubernatis dice, nella mitologia delle piante: «Ritengo che la città di Firenze, e che il Re di Francia, allorché scelsero come emblema il giglio, pensarono alla moltiplicazione dei loro popoli e alla successione ininterrotta della razza ».

A completare la descrizione delle colonne del tempio, la Bibbia parla di 7 file di catene che ne contornano i capitelli.

Il significato di queste catene non è chiaro, perché può simboleggiare la cattività e d'altra parte il numero delle file sembra riferirsi ad un numero sacro presso gli ebrei, per cui il 7 doveva essere oggetto di venerazione, forse per la divisione della settimana in 7 giorni in corrispondenza della durata di ciascuna delle fasi della luna.

Ma interessa notare che, accettando come si deve, il senso fallico delle colonne, queste ricordano che 1'«amphallos» di Delfo era anche esso incatenato sotto una rete, simbolizzante probabilmente la dominazione di una forza vitale essenziale quale creatrice di vita: o forse la dominazione degli istinti da parte della volontà e della ragione?

Non ci resta a questo punto che ricordare ancora una volta che la vera iniziazione è una, per quanto sembra possa variare secondo i riti, le religioni, le epoche e le località.

 

 
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